La domanda è questa: cosa l’era digitale ha cambiato nell’arte?Rispondere a questa domanda è facile e contemporaneamente impossibile: facileda un lato perché scegliere una particolare risposta, di fronte alle tante pronte edisponibili, scegliendo tra “apocalittici” e/o “integrati” è appunto alla portata ditutti come lo sono i topos comuni; sono risposte che appartengono a insiemiintegrati che per ragioni ideologiche tendono ad escludere preventivamente altrerisposte, anche se ognuna di queste esprime certo una verità particolare degnadi attenzione; ecco la ragione per cui è invece impossibile una risposta, perchél’insieme di queste verità parziali non ha limite di fronte all’esplosione (eccoproprio questa immagine dell’esplosione, di un big bang, mi viene in mentepensando all’era digitale), la frantumazione in tanti pixel, dove prevale una sortadi disorientamento che giustifica i molti atteggiamenti ideologici che riparano inconfini più ristretti, nell’ansia ordinatrice di fronte ad una complessità irraggiungibile.Quindi cos’è cambiato?: Tutto, mi verrebbe da dire, e niente (come opposti che sitengono); i confini dell’arte si sono dilatati già con le avanguardie del ‘900 e con glistrumenti messi a disposizione dall’industrializzazione, dalle scienze e tecniche chela rivoluzione industriale ha messo a disposizione; un’accelerazione che, da visioniaeree e cinetiche, è arrivata a quelle digitali; che dalle rivoluzioni che parlavano echiedevano un uomo nuovo, arriviamo oggi a parlare di mutazioni antropologicheimpossibili da oltre uomo.Tutto vero? Forse o forse solo in parte e queste visioni appartengono a quella sferadi pensiero apocalittico che vede nel potere della tecnica e nel suo “funzionare” ilsuperamento dell’umano, incapace di gestire l’accelerazione di cui dicevo e unavisione indistinta incapace di immaginazione. Penso che la debolezza e la fragilitàdell’umano siano invece ancora la sua vera risorsa.Oggi molti degli strumenti a disposizione, oltre ai pericoli ovvi sottesi ad un usoinconsapevole, oltre alla mutazione del panorama e del “paesaggio” che producono,possono generare al contempo condizioni per nuove visioni, nuovi atteggiamenticritici, nuovi immaginari dove l’arte ha un’ulteriore possibilità di espandere i propriconfini. Il tempo lungo di questa transizione con i suoi momenti di accelerazione edi stasi, porta con sé una visione del tempo diversa da tutte le accelerazioni a cuil’era industriale ci aveva abituati: è come se la fruizione di un “tutto” subito e sempredisponibile generi una dissoluzione del tempo come idea di passato e di futuro perriportarci ad un’antica ed ancestrale circolarità del tempostesso; e questa visione genera anche la con-fusione acui oggi assistiamo anche nel mondo dell’arte. Questaconfusione, che è anche caduta di limiti predisposti, è dataanche dall’accesso esteso a tutti a certi strumenti; unarealtà più liquida e indifferenziata che, per paradosso, nongenera più correnti ideologiche (di pochi eletti) ma tanteparticolarità che sembrano navigare in un mare indifferente;ma queste parti sono degne di attenzione e ogni tanto,per errore diciamo, vengono portate all’evidenza. Eccoallora che la debolezza dell’umano ferma per un attimoil meccanismo su cui si impiantano i poteri del nostrotempo, compreso e soprattutto quello della tecnocrazia,ridando fiato all’irriducibile del fondo umano che non èsolo appartenente ad un sociale, ma è innanzitutto corpo,naturale, animale.
È questa parte intima, nascosta, che non cambia e...riemerge nonostante tuttoesprimendo con gli strumenti nuovi a disposizione i suoi bisogni, i suoi desideri.Penso all’arte come luogo politico di resistenza dell’umano. La trasformazionedigitale sottolinea la complessità del mondo in cui viviamo e gli artisti con laloro sensibilità colgono, vorrei dire “fisicamente”, tutto questo tradotto nellacomplessità e singolarità delle espressioni: Spesso sorge una nostalgia da cuidovremmo fare attenzione, senza negarne l’origine che in fondo sta nel rifiutoe nelle difficoltà che pone la complessità; in fondo questa nostalgia è vicinaai fenomeni politici che si oppongono alla globalizzazione, quei “populismi”(così sono narrati) che propugnano un ritorno ad un mondo pre-globale doveappare più facile” controllare” e decidere sugli accadimenti; è al fondo paura diaffrontare fenomeni complessi, o anche semplicemente rifiuto di partecipare allederive catastrofiche ed ai conflitti di questo mondo. Nell’arte tutto ciò conviverappresentando per questo molto bene il nostro tempo.
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